Per chiunque conosca la società olandese, o meglio ancora, per chi l’abbia conosciuta un paio di decenni orsono, i risultati delle elezioni di ieri sono sorprendenti. Solo pochi anni fa nei Paesi Bassi era impensabile anche soltanto insinuare una parola o un gesto nei riguardi dell’immigrazione che rappresentava un tema tabu, e tutta la società sembrava incantata dall’ “arricchimento” multiculturale, impensabile quindi che un partito apertamente anti-immigrazione potesse ottenere circa il 13% dei voti e che i vincitori – con un 21% – ovvero i liberali di destra dell’attuale primo ministro, Mark Rutte, criticassero in campagna elettorale molti aspetti dell’immigrazione e proibissero manifestazioni elettorali turche sul suolo olandese, negando anche l’ingresso di un ministro turco nel Paese.
Oggi è invece una realtà e, quindi, un sintomo positivo della reazione popolare contro la dittatura multiculturale del sistema.
Ciononostante il PVV di Greet Wilders, benché abbia conquistato 5 seggi in più per un totale di 20, e malgrado il suo 13% scarso, è il grande sconfitto di queste elezioni perché i sondaggi lo davano come prima forza del Paese.
Tre sono i punti da considerare per spiegare questo fallimento.
– La fragilità di un discorso ossessivamente anti-immigratorio che non incide in altri aspetti politici e che assume i principi economici liberali.
Questo ha permesso al partito liberale di destra (VVD) di recuperare agevolmente: è bastato un mese di critica all’immigrazione massiccia a consentirgli di strappare buona parte dell’elettorato potenziale di Wilders il quale, a differenza di altri partiti identitari europei, FPÖ, VB, FN, non ha incorporato tra le proposte un chiaro programma sociale.
– I sondaggi e la partecipazione.
Dando Wilders come vincitore, benché negli ultimi giorni si delineasse come secondo, e presentandolo come pericolo “razzista e fascista”(!), i media sono riusciti a mobilitare l’elettorato olandese con una partecipazione record che ha ovviamente pregiudicato il PVV.
– E come fattore principale l’ “euroscetticismo”.
Si è dimostrato che vincolare il rifiuto dell’immigrazione all’uscita dalla Ue e dall’Euro, come pretendeva Wilders, è un errore enorme.
Presentarsi come la continuità geopolitica della Brexit e dalla politica di Trump – nelle quali ci sono comunque cose che ci possono piacere – intesa nei confronti dell’Europa, non significa altro che “make Ameica great, and Europe small”, un grande equivoco ideologico e strategico.
I Paesi Bassi vivono fondamentalmente di due cose: del regime fiscale che offrono alle imprese della UE che s’installano nel loro territorio e del porto di Rotterdam, via di entrata e di uscita delle navi mercantili tedesche. Uscire dall’Euro e dalla UE supporrebbe la fine qui queste fonti vitali di ricchezza per i Paesi Bassi e, nel caso si creasse una barriera frontaliera tra questi e la Germania, essa reagirebbe alla provocazione sostituendo Rotterdam con Amburgo. Wilders pare essersi dimenticato che il petrolio del Mare del Nord è praticamente esaurito.
Questo proposito insensato, per nulla condiviso dal grosso del popolo olandese – ivi compresi quelli che sono contro l’immigrazione – spiega in gran misura la disfatta di Wilders e può anche spiegare fallimenti futuri per chi cadrà in questa trappola. Perché è ben chiaro che né Greet Wilders né Marine Le Pen faranno uscire i Paesi Bassi né la Francia dalla UE perché né gli olandesi né i francesi appoggiano quest’orientamento.
Ieri un avversario politico, Jean-Marc Ayrault, minsitro degli Esteri di Francia esprimeva “congratulazioni agli olandesi…. per la loro volontà di lavorare per un’Europa più forte”. Singolarmente paradigmatico è che siano oggi i socialisti a parlare di Europa forte mentre alcuni “identitari”, quelli euroscettici e anti-europei, dimostrino la mancanza di realismo.
Manca qualcosa di basilare: è ora di scommettere per un’Europa forte e di pensare in termini politici propri al XXI secolo; e c’è chi già lo fa, in special modo l’FPÖ austriaco. Questa è la linea da seguire.