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04.08.2018

I popoli forti, e quelli no.

Autore: Giacomo Petrella

Sorgente :

euronazione.wordpress.com/2018/07/05/i-popoli-forti-e-quelli-no/

euronazione.wordpress.com/2018/07/05/i-popoli-forti-e-quelli-no/

A volte semplificare le cose aiuta. A volte la complessità va disciolta in formule nette, come noi/loro, amico/nemico ecc. Si chiamano pregiudizi, e, al di fuori della retorica del corretto, in sociologia, sono un basilare schema cognitivo.

L’importante è che si parta sempre dalla realtà dei fatti: gli schemi aiutano a leggere ogni fatto nella sua, appunto, più generale complessità. Il punto essenziale del grande gioco politico resta da sempre lo stesso: i popoli, come gli individui, o sono forti o deboli, o crescono o muoiono, o sono giovani o sono vecchi. Parole novecentesche, si. E’ vero. Bene. Il novecento non mente. Come non mentono i fatti.

I due grandi avvenimenti, rifratti in mille piccole situazioni, migrazioni e debito, riflettono gli equilibri in campo. I popoli forti non emigrano, ma colonizzano, quelli deboli vengono colonizzati. I popoli forti non fanno debito, ma acquistano debito altrui. Sono leggi sociologiche vecchie come il mondo.

L’Europa, in questo schema, è un continente vecchio, senza figli, senza investimenti, indebitato; è il ventre molle di un Occidente americano che nello slogan “great again ” tende piuttosto a non recedere per quanto possibile; la Cina è, per contro, un Impero giovane, giovanissimo. In piena corsa.

I flussi migratori che in questi giorni stanno spaccando l’unità dei governi europei sono scosse telluriche di assestamento; lo scrive bene qui Giampaolo Rossi, su Il Giornale. Milioni di africani neo-benestanti pronti a rimpiazzare chi, sdraiato sul divano col sogno del talent, non produce e non figlia.

Ma i fatti sono concatenati: i Cinesi si stanno comprando l’intero continente africano. A loro non servono i neri benestanti. Servono schiavi. Chi può dunque scappa verso quella che ingenuamente noi chiamiamo “grande sostituzione”, ossia il disperato tentativo democratico, sorosiano, di salvare l’utopia del consumo a debito, del benessere senza fatica, della società senza classi.

La Cina ha altri piani; è, si diceva ai tempi, metallica forma spartana. Il nichilismo del ragazzo che ora si prende la scena. Detenendo il debito pubblico americano, gestendo la dinamica della produzione a debito occidentale, presto sarà in grado di comprare tutto ciò che resterà sul mercato.

Non sembra ai più, ma l’Europa è ormai oggi la discarica finanziaria e antropologica di un mondo, quello demoliberale, giunto al capolinea; lo stiamo capendo? Anarchicamente ci sarà sempre una via d’uscita, una vela, un’isola individuale. Ma come popolo? Come stirpe e civiltà?

In Italia le due posizioni atlantiste governano assieme: da un lato il great again salviniano, dall’altro il mito della Open Society a reddito di cittadinanza del M5s. Il Ministro Tria prende già tempo, mischia le carte, ricordando a tutti noi quel cerchiobottismo italico, nostro, eterno, pregiudizievole connotato antropologico.

GP

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