Lo spazio e il tempo sono tra loro in stretta relazione fisica e filosofica.
In teoria, tanto l’uno quanto l’altro, sono misurabili in termini rigidi e oggettivi, ma all’atto pratico mutano sia la nostra percezione sia l’effetto che essi hanno su di noi.
Ben diversa è la concezione del tempo in luoghi dagli ampli spazi, come il deserto, la tundra, le distese ghiacciate, altra nelle megalopoli. Il tempo scandisce ciclicamente chi è legato alla terra, regola invece a ritmi frenetici e diacronici chi vive in città. Gli spazi mutano a seconda della concentrazione umana e vengono occupati in modo diverso sulle coste normanne o nei tuguri urbani cinesi.
Queste differenze abissali convivono in una vera e propria Età del Mondo che, sia pure in modo differenziato, impone le sue regole generali. La nostra Età del Mondo è quella satellitare, dominata cioè da Enti recenti che incidono sullo spazio e sul tempo nonché sull’intera antropologia umana ed hanno persino capovolto i rapporti con il cielo, dominandoci dall’alto in una configurazione che sembra la riproposizione attualizzata della Teoria della Terra Cava: la superficie terrestre è in effetti diventata interna e appunto “superficiale” rispetto ai suoi innumerevoli centri esterni.
In questa nuova Età, definita anche della Globalizzazione, il tempo si comprime e lo spazio si restringe, come previsto già nel 1945 da René Guénon ne Il regno della quantità e i segni dei tempi. Tutto questo comporta perdita di centralità e di riferimenti, angoscia, fretta, corsa frenetica verso il nulla in uno scenario che è stato illustrato in modo magistrale dalla “favola per bambini” Momo che Michel Ende scrisse nel 1973.
Con una serie di azioni e reazioni meta/fisiche tutto muta. Gli spazi si allargano, i centri che un tempo erano quelli delle poleis, che poi divennero nazionali, oggi si continentalizzano. Per effetto di compensazione riaffiora il localismo e, nella trasformazione degli Stati, mentre da un lato si creano Entità intrecciate che li travalicano, dall’altro si rafforza la tendenza all’autonomia locale.
Tutto questo avviene dentro all’involucro politico e istituzionale dell’era presatellitare perché non vi è ancora coscienza di come l’avvento dei satelliti abbia influito su tutta l’antropologia umana, ben al di là di quanto lo fece la rivoluzione elettrica.
Prigionieri dei riflessi di Pavlov, abbiamo grosse difficoltà a metterci al passo con l’epoca in cui viviamo; mentre tempo e spazio si comprimono come aveva ben visto Guénon, siamo afferrati dall’angoscia nientificante che ha ben descritto Ende. Così mentre l’intera geografia muta, tra terremoti, tsunami e migrazioni di massa, noi restiamo aggrappati a criteri del tutto inadatti.
L’uomo verrà forse soppiantato in breve dall’androide, un mix di biologia, biochimica, cibernetica e robotica. Se sopravviverà, dovrà riconquistare lo spazio, sia quello interiore, sia quello vitale: dal domestico allo stellare.